In natura, tra i lupi, l’aggressività è una caratteristica splendidamente funzionale alla sopravivenza del singolo e, per esso, della specie. E’ solo in funzione di questa che viene attivata ed è proprio in virtù di questo scopo ultimo che osserviamo una sorta di vero e proprio miracolo: i lupi sono perfettamente in grado di trasformare le pulsioni aggressive in un rituale tanto eloquente quanto efficace; non è necessario passare alle vie di fatto: il rituale è pienamente sufficiente ed è comprensibile per ogni componente della specie. Il passaggio dal rituale all’azione aggressiva è estremamente raro: non serve, non è funzionale.
Il cane, diretto discendente del lupo, ha ereditato queste caratteristiche. Facciamo riferimento alle antiche razze da lavoro e scopriamo, per esempio, che tra i molossi, e scelgo questa tipologia proprio perchè vicina alle razze giudicate pericolose dalla vigente Ordinanza, è perfettamente presente nella loro primitività, questa stupenda capacità di ritualizzare passando all’azione solo quando la minaccia a sé e a quanto va difeso (generalmente greggi) non accetta quanto la ritualità comunica e tenta di passare alle vie di fatto (nel caso citato la predazione del gregge). Ma viene da chiedersi se la natura possa generare cani incapaci di questa ritualizzazione; no,perché in natura non vi è nulla di casuale e, nello specifico, l’azione della madre sui cuccioli è tale da imprimere in modo indelebile le regole della vita sociale.
E’ questo un chiaro esempio della natura che combina in modo mirabile genetica e apprendimento rendendo praticamente impossibile l’errore.
In questa combinazione sta il passaggio chiave. Il cucciolo di lupo ha alcuni anni per trarre completo beneficio da questa combinazione. Il cane domestico non ha che sessanta giorni per imparare dalla madre i rudimenti che sono parte integrante della sua cultura (se cultura significa capacità di trasmettere apprendimenti). Ha dunque perfettamente ragione il Sottosegretario alla salute Francesca Martini affermando che non ha senso parlare di razze pericolose. Certo le razze canine sono tante, certo un molosso non è un volpino, ma il molosso e il volpino sono cani perfettamente in grado di vivere dinamiche sociali tanto complesse quanto coerenti: basta che qualcuno le insegni loro. C’è infatti una variabile che si inserisce proprio a questo punto ed è la realtà urbanizzata. L’urbanizzazione scrive nuove regole, pone al cane richieste complesse non appartenenti a ciò che genetica e maternage gli hanno insegnato. La realtà urbana e l’uomo che ne è il primo rappresentante pongono il cane in una situazione nuova di fronte alla quale gli mancano gli strumenti interpretativi e le capacità positivamente adattive. Questo può generare nel cane stress negativo e sappiamo bene che lo stress è spesso fonte di reazioni incontrollate e incontrollabili; è per questo che anche un piccolo volpino può rappresentare un problema, spesso è ben più mordace di un molosso perché meno adeguato e più stressato da modalità umane completamente inadeguate. Ha dunque nuovamente ragione il Sottosegratrio alla Salute quando pone il problema di divulgare una nuova cultura cinofila basata su corsi per i proprietari; l’uomo deve completare positivamente l’azione combinata di genetica e maternage.
Vi è la necessità di aiutare l’uomo a comunicare con il cane, comprendendone il linguaggio, rispondendo correttamente ai suoi bisogni fondamentali e fornendo gli strumenti adeguati ad affrontare le richieste poste dall’urbanizzazione. Il cane, qualunque cane, è perfettamente in grado di inserirsi in modo costruttivo nel contesto sociale in cui vive. Rendere obbligatori corsi di educazione cane-padrone con Educatori Cinofili Professionisti competenti, aggiornati e motivati renderebbe possibile condurre i proprietari ad una corretta relazione con il cane attraverso la quale diverrebbe semplice, nel pieno rispetto dell’alterità, gestire il proprio animale. Un cane correttamente socializzato è in grado di vivere con l’uomo non solo senza reazioni fuori controllo, ma rappresentando una vera e propria occasione di arricchimento per l’uomo stesso. Tra l’altro stabilire un rapporto corretto con il proprio cane rende il legame cane-uomo più significativo ed è per questo un ulteriore strumento per contrastare anche la piaga dell’abbandono.
Capire il cane è il primo passo per conoscerlo e conoscerlo significa comprendere i suoi bisogni e stabilire quel rapporto che non solo rende impossibile l’abbandono, ma rappresenta un valore aggiunto all’esperienza umana.
A cura del Dott. Maurizio Dionigi
Presidente Nazionale APNEC: Associazione Professionale Nazionale Educatori Cinofili
FONTE: www.apnec.org