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Parvovirosi: malattia dei cuccioli

venerdì 8 gennaio 2010

Comparsa improvvisamente nel 1977-‘78, la Parvovirosi si è diffusa contemporaneamente in diverse parti del mondo (Nord America, Europa, Australia) fino a divenire, in così pochi anni, una grave panzoozia. Nel cane si ritrovano due diversi parvovirus, entrambi appartenenti alla Famiglia Parvoviridae ed al genere Parvovirus (= «piccolo virus», date le sue modeste dimensioni): il tipo 1, non patogeno e diffusosi accidentalmente tramite vaccini destinati al cane, ed il tipo 2 che, al contrario, è l'agente responsabile della malattia.

Questo virus è molto resistente nell'ambiente esterno e, in vivo, colpisce soltanto i canidi: cane, lupo, volpe e coyote. Sperimentalmente, invece, il suo spettro d'azione è molto più ampio, tanto da riuscire a crescere, se ben coltivato, anche su cellule di gatto, visone, procione, bovino, furetto e perfino di uomo!

Gli aspetti clinici

La malattia può presentarsi in due forme cliniche diverse.

1. Forma Enterica: interessa più frequentemente i cuccioli neonati o in fase di svezzamento. Ciò è riconducibile al fatto che lo svezzamento rappresenta un'età critica per il cucciolo, il quale subisce un rinnovo accelerato (turnover) della mucosa intestinale, che si accompagna anche ad un lenta diminuzione degli anticorpi colostrali, assunti passivamente dalla madre. I primi sintomi sono rappresentati da depressione, anoressia e rialzi febbrili al terzo giorno di infezione; poi, seguono anche vomito, diarrea emorragica ed una temporanea diminuzione dei globuli bianchi del sangue (leucopenia), che può durare dai 3 ai 5 giorni. Durante la convalescenza, invece, assistiamo a fenomeni opposti, di natura compensatoria. I tratti intestinali più colpiti sono due porzioni del tenue, digiuno ed ileo. Alcuni linfonodi addominali si presentano congesti, aumentati di volume e cosparsi di petecchie emorragiche; il timo, al contrario, appare piuttosto atrofico.

2. Forma Miocardia: compare in cuccioli molto giovani che non hanno ricevuto l'immunità materna o che si sono infettati addirittura in utero. Ciò nonostante, la sua manifestazione è improvvisa: l'animale mostra delle miocarditi acute non suppurative, cui si accompagnano anche dispnea e conati. In genere, la morte è rapida e può non essere associata ad enterite, anzi, in alcuni casi, essa avviene alcune settimane dopo la guarigione dalla forma enterica. Le lesioni che si riscontrano sono tipiche dell'insufficienza cardiaca acuta: dilatazione delle camere cardiache, striature biancastre sul miocardio, edema polmonare, congestione epatica, ascite ed idrotorace. A differenza degli altri organi o tessuti colpiti, il cuore non è in grado di riparare le sue lesioni e proprio per questo rappresenta un fertile terreno per la moltiplicazione del virus; tuttavia, poiché la maggior parte delle fattrici è provvista di immunità (naturale o da vaccinazione), la forma miocardia è attualmente molto rara.

Il contagio e la diagnosi

La fonte principale di infezione è costituita dagli animali ammalati in fase acuta, che eliminano virus in abbondanza tramite feci, urine, saliva e vomito. La trasmissione avviene facilmente, sia direttamente che indirettamente, grazie anche alla notevole resistenza del virus nell'ambiente esterno.
La diagnosi può avere diversi riscontri: clinici, anatomo-patologici, sierologici e virologici. Più specificatamente e grazie ad appositi test, negli ultimi due casi, si mira ad isolare il germe o ad evidenziare la presenza di anticorpi contro parvovirus a livello intestinale o nel siero di sangue.

Le norme per evitare la diffusione dell'infezione

  • Fare disinfezioni molto accurate, a base di cloro;
  • Isolare gli individui infetti;
  • Vaccinare i cuccioli a partire dalla decima settimana di vita, con due interventi a distanza di un mese l'uno dall'altro;
  • In situazioni di rischio elevato, si possono praticare quattro interventi vaccinali ad intervalli di tre settimane a partire da nove fino a diciotto settimane di età;
  • Preferire i vaccini «vivi attenuati» a quelli inattivati» che, sebbene siano più sicuri, non lasciano una buona e duratura immunità.
A cura della Dr.ssa Maurizia Pallante

FONTE: www.vet-in-time.it