Abbiamo le stesse sindromi. I comportamenti sono più diffusi di quanto si creda. Test su nuovi farmaci aiuteranno a curare anche noi
di ELENA DUSIFRA CANI e padroni l'intesa è al primo sguardo. Ma gli uomini e i loro migliori amici non condividono solo voglia di affetto, solitudine o ansia. Osservare il comportamento di Solo, un border collie di 11 anni arruolato in un progetto di ricerca dell'università della California, aiuta a capire il perché. Solo inizia a tremare, uggiolare e correre per rifugiarsi in un luogo protetto ogni volta che sente un tuono. I fuochi d'artificio gli provocano veri e propri attacchi di panico, simili a quelli osservabili negli uomini.
L'esperienza è stata vissuta da tanti padroni, che sorridono e rincuorano i loro amici con una dose extra di carezze. Ma lo psichiatra Steven Hamilton, docente all'università della California di San Francisco, osservando il comportamento degli animali ha pensato di studiarli per capire meglio come funzionano le malattie degli uomini. E trovare nuove vie per curarle.
Solo e gli altri esemplari arruolati nello studio vengono trattati con antidepressivi e ansiolitici. Le loro reazioni avverse o gli eventuali miglioramenti sono annotati con cura dai ricercatori. Il funzionamento dei due tipi di farmaci è infatti sovrapponibile in uomini e cani, così come le percentuali di successo del trattamento. "Le similitudini sono evidenti" commenta Hamilton in un dossier dedicato dalla rivista Nature al "nuovo miglior amico degli psichiatri". E questo è vero soprattutto per gli animali con un pedigree: la rigida selezione genetica cui sono stati sottoposti negli ultimi due secoli, da un lato, ha fatto nascere malattie sia fisiche che mentali sconosciute ai meticci, dall'altro, ha reso i genomi più omogenei, facilitando la ricerca dei frammenti di Dna legati ai vari disturbi psichici.
"I cani - spiega Guoping Feng, genetista del Massachusetts Institute of Technology - sono l'unico modello esistente in natura per studiare i disordini psichiatrici. E sono anche perfetti per essere mappati geneticamente".
Una statistica della Tufts University stima che il 40 per cento dei 77 milioni di cani statunitensi soffrano di un non meglio precisato "disturbo comportamentale". Cifre difficili da verificare, ma che bastano ad alimentare un marketing per gli psicofarmaci che coinvolge anche gli animali domestici e che dà un contributo importante ai 15 miliardi di dollari che ogni anno i proprietari Usa spendono per i loro cani.
Gli psichiatri della California hanno deciso di sfruttare le somiglianze fra uomini e animali da compagnia per fini di ricerca, forti della conoscenza del Dna dei quattro zampe e della corrispondenza che alcuni geni coinvolti nelle malattie psichiatriche hanno fra le due specie.
Cane e uomo, a livello genetico, si rispecchiano in malattie come la narcolessia (caratteristica dei dobermann), nei disturbi ossessivo-compulsivi (riscontrati nei bull terrier, pastori tedeschi, danesi e golden retriever, che a volte si mordono fianchi e zampe fino a ferirsi o inseguono la coda roteando in modo ossessivo) o nei deficit di attenzione che sono stati notati in alcuni labrador impiegati come guida per ciechi.
La decisione di affidare la ricerca ai cani - dove la diagnosi precisa di disturbi psichiatrici è ancora più difficile che negli uomini - è un sintomo di quanto stagnante sia la situazione nella cura delle malattie mentali. Un'inchiesta pubblicata da Science a luglio, intitolata "Is Pharma running out of brainy ideas?" raccoglie tutti i casi di grandi aziende farmaceutiche intenzionate a chiudere i loro laboratori per lo sviluppo di nuovi farmaci.
La GlaxoSmithKline secondo la rivista è pronta ad abbandonare i settori di analgesici e antidepressivi, mentre AstraZeneca avrebbe deciso di chiudere alcuni centri di ricerca per medicinali contro schizofrenia, disturbo bipolare, depressione e ansia.
"La realtà - spiega a Science Thomas Insel, direttore dell'Istituto nazionale per la salute mentale negli Usa - è che da anni in questo campo non ci sono farmaci o idee nuove. E quasi nulla dà speranza al settore delle malattie mentali". Spetta ora ai migliori amici dell'uomo smentire la tesi sconsolata dello psichiatra.
Fonte "la Repubblica" del 18 ottobre 2010